Il 21 aprile 2015 finalmente fatta la nord dell'Eiger. Tanti ricordi durante questa lunga giornata col mio amico Nicola... Grazie Nic!
”Due puffi sull'Eiger”
27 luglio 1984. “Chissà perché la Svizzera che è tanto piccola, è così piena di lunghi rettilinei?”
Sono in macchina con il mio amico Icio (Maurizio Giarolli): siamo diretti a Grindelwald, con l'obbiettivo di infilarci su quella che probabilmente è la parete più famosa del mondo, quella Nord dell'Eiger di cui tutti – anche gli alpinisti da poltrona- sanno tutto.
Il tempo è bello ma non sappiamo niente delle previsioni, così, arrivati alla fermata assieme ai primi turisti giapponesi che ci guardano incuriositi, chiediamo la meteo a una guida alpina del posto. “Peggioramento dal pomeriggio!” sentenzia. Ci guardiamo e... “Dai, dai, con tutti i chilometri che abbiamo fatto. Almeno proviamo.”
Verso le 9 del mattino siamo all'attacco e cominciamo a salire, scherzando su questo “mucchio di sassi”. Guardo Icio e rido, e lui ride guardando me. Siamo vestiti allo stesso modo, sembriamo due gemelli: calzamaglia blu, canottiera blu (abbellite da simpatiche righine bianche orizzontali!), e pantaloncino corto. L'attrezzatura è poca, ma almeno è leggera. Saliamo rapidi, per la maggior parte in conserva, superando una cordata di tedeschi che gentilmente ci suggerisce la strada sbagliata.
Dopo aver perso un po' di tempo per rientrare sulla retta via, raggiungiamo il Bivacco della Morte e poi il Terzo Nevaio. Fa caldo, ma il cielo si va coprendo mentre superiamo le lunghezze della Rampa. Sono fermo all'ultima sosta quando gli schizzi di un rigagnolo, che scende davanti a me, iniziano a bagnarmi. In pochi minuti, mentre assicuro Icio che sale gli ultimi metri difficili, il rigagnolo si ingrossa terribilmente, tanto che mi ritrovo inzuppato fradicio. Anche i piedi sono in due pozze d'acqua.
Si prosegue nella Fessura Friabile e poi sulla facile Traversata degli Dei. In prossimità del Ragno Bianco vediamo scendere molta acqua, sassi e neve. Abbiamo fretta di tirarci fuori da questo posto, e sarà questa fretta a fregarci!
Un chiodo a espansione e un pezzo di corda marcia ci invita a salire verticalmente. Grosso sbaglio! Dopo un paio di tiri capiamo che siamo fuori via. Tornare indietro sarebbe una grossa perdita di tempo, allora proseguiamo, anche se questa linea è decisamente più ripida e difficile.
Siamo infatti sulla direttissima, la famosa linea di Harlin.
Ormai è buio e proseguire è impossibile. Se non avessimo commesso quell'errore saremmo già sulla via del ritorno, invece dobbiamo bivaccare e accontentarci del piccolo gradino che l'Eiger ci offre. Con il martello Icio spezza qualche roccia per ingrandirlo: riusciamo a piantare un chiodino a lama per la nostra sicurezza, quindi a fatica riusciamo ad appoggiare il sedere.
Intanto si è messo a nevicare e noi ci stringiamo uno addosso all'altro, con l'illusione di trasmetterci un po' di calore. Poi arrivano i primi lampi e la tensione aumenta. Uno, due, tre, quattro. Cominciamo a contare i secondi che passano dal chiarore del lampo al momento del tuono, ma poco dopo non c'è più niente da contare: il fulmine che si è scaricato nelle vicinanze ci scorre lungo il corpo. Le mie natiche sono morse da due grosse tenaglie e Icio è grattato violentemente lungo la schiena. Ma siamo ancora qui. Ci guardiamo con gli occhi sgranati: la situazione non è molto allegra, ma siamo vivi.
Passa una lunga notte piena di pensieri e paure, poi, appena arrivano le prime luci del giorno, riprendiamo a salire. Oltre la sosta riusciamo a salire solo qualche metro perché uno strapiombo ci sbarra il cammino. Abbiamo pochissimo materiale, che non ci può veramente aiutare. A turno ci scambiamo nel ruolo di capocordata, sperando che l'altro riesca a passare. Siamo convinti che oltre quel punto si riesca a proseguire più agevolmente verso la cima, ma non riusciamo proprio ad alzarci: siamo inchiodati.
Alle dodici decidiamo di desistere e iniziamo a scendere, ma questo ci presenta un altro bel problema: sotto di noi abbiamo circa 1500 metri di dislivello di calate, ma il nostro approccio leggero ci ha fatto portare solo una mezza corda da 45 metri! Piangere o strillare non servirebbe a nulla, così iniziamo le nostre ridicole corde doppie, che ci sembrano quelle dei puffi: piccole piccole, su di una parete così grande! Tra il resto la parete è livellata dalla neve che continua a cadere incessantemente. Sui lunghi nevai procediamo in conserva, il più veloce possibile, ma a mezzanotte siamo ancora sulle cenge al termine della traversata Hinterstoisser.
Non nevica più e, in pochi minuti, le nubi lasciano il posto a un cielo stellato e di conseguenza al freddo. La voglia di scendere sarebbe molta, ma con il buio ci sentiamo un po' smarriti, così decidiamo di aspettare il mattino. Rimaniamo per lo più in piedi, saltellando e prendendoci a pugni per scaldarci. Ora comunque l'umore è molto migliorato e riusciamo anche a scherzare su quanto abbiamo appena passato. Icio all'occorrenza è un buon cabarettista, e questo almeno aiuta il trascorrere delle ore notturne. Sotto di noi sentiamo i tedeschi incontrati ieri: anche loro avevano rinunciato all'inizio della Rampa. Alle prime luci riprendiamo la discesa fino ai verdi prati sottostanti, e quindi giù a rotta di collo fino a Grindelwald.
Poco dopo ci ritroviamo nei panni di quei turisti che spesso prendiamo in giro: vestiti come in pieno inverno sotto un sole estivo, a fare pic-nic giusto sul ciglio della strada.
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