Il mio diario... o meglio, ciò che mi passerà per la testa di scrivere delle mie giornate, di quello che faccio. Non so quanto diario sarà, nel senso che sicuramente non lo farò tutti i giorni. Cercherò di essere il meno ripetitivo possibile, anche se mi sarà difficile perché più o meno faccio sempre le stesse cose. Vivo in un mondo tutto mio. Potrei dire che la mia vita trascorre nel mondo delle fiabe. Grazie e siate positive/i...
mercoledì 26 dicembre 2018
giovedì 8 novembre 2018
ERUZIONE?
Qualcosa di strano abbiamo visto il 24 ottobre sullo Hielo Continental. Non lo sapevamo ma già il "mondo" ne parla. Qualcuno dice forse un'eruzione. Agli esperti la parola. Io ho fatto semplicemente una foto e anche a diversi Km di distanza. Vedremo!
giovedì 20 settembre 2018
CIAO TOM
TOM FROST, ROYAL ROBBINS, CHUCK PRATT E YVON CHOUINARD DOPO LA SALITA A NORTH AMERICAN WALL A EL CAPITAN
ROYAL ROBBINS, TOM FROST E CHUCK PRATT DOPO LA PRIMA SALITA ALLA SALATHE' WALL A EL CAPITAN
27 agosto 2018
Tom Frost, pioniere ed icona
dell’arrampicata americana, è morto ad 81 anni quasi in concomitanza con la
morte anche Jeff Lowe.
Un epilogo inimmaginabile per due leggende dell’alpinismo
mondiale le cui stelle brilleranno per sempre nel firmamento. A distanza di
poche ore in cui si piangeva la morte di Jeff Lowe, anche Tom Frost, precursore
e anch’egli grande innovatore dell’arrampicata, veniva a mancare all’età di 81
anni.
Studente della Stanford University e quindi impegnato con
l’Aviazione Americana, Tom si avvicinò all’arrampicata grazie a John Harlin ed
Henry Kendall e poi con TM Herbert, Bill Feuerer, Dave Rearick e Yvon Chouinard
per poi unirsi a Royal Robbins, Joe Fitschen e Chuck Pratt per compiere la
seconda spettacolare salita del Nose, un’ascensione che sa di leggenda al pari
della sua apertura.
Nel 1963 lui insieme a John Harlin, Gary Hemming e allo scozzese Stewart Fulton parte per scalare la parete sud dell'Aiguille du Fou mentre nel 1964 si dirige verso le Ande con Henry Kendall, Leigh Ortenberger, Dorene del Fium, Irene Ortenberger, John Kendall, Dan Doody, Henry Abrons, Herbert Hultgren e Graham Mathews per tentare prima la sud del Huandoy e poi il Chacraraju, portando l’arrampicata su roccia ad una quota mai vista prima da queste parti.
Tornato in Yosemite si lega ancora con Robbins per compiere la seconda salita del Dihedral Wall e poi con Chuck Pratt e Yvon Chouinard porta l’artificiale fino all’A5. Il legame con Chouinard non è solo in parete. I due infatti lavorano insieme soprattutto per la creazione e commercializzazione di materiale e abbigliamento da arrampicata conseguendo un successo che non ha bisogno di presentazioni.
Il 1968 è l’anno in cui con Dorene del Fium, Jim McCarthy, Sandy Bill, Dick Williams e Paula Lehr si dirige verso il Cirque of the Unclimbables dove scoprono e battezzano quella che sarà la Lotus Flower Tower. Nel 1970 Tom viene invitato da Chris Bonington per l’Annapurna South Face Expedition e scala anche con Jeff Lowe per tentare l’Ama Dablam e filmare l’avventura per l’ABC Wide World of Sports. Gli anni passano ma la passione non si riduce, anzi, nel 1986 Tom accetta l'offerta di unirsi a Jeff Lowe, Alison Hargreaves e Mark Twight per tentare un nuovo percorso sul versante nord del Kangtega.
A metà degli anni '90 Tom inizia a scalare di nuovo con suo figlio, Ryan, e rivede Yosemite per ripetere tutte le vie di El Capitan che aveva provato più di trent'anni prima.
Non sempre ha compiuto queste salite “solo” come componente attivo del team ma spesso anche come fotografo fornendo una quantità di spettacolari immagini da molte parti del mondo.
Nel 1963 lui insieme a John Harlin, Gary Hemming e allo scozzese Stewart Fulton parte per scalare la parete sud dell'Aiguille du Fou mentre nel 1964 si dirige verso le Ande con Henry Kendall, Leigh Ortenberger, Dorene del Fium, Irene Ortenberger, John Kendall, Dan Doody, Henry Abrons, Herbert Hultgren e Graham Mathews per tentare prima la sud del Huandoy e poi il Chacraraju, portando l’arrampicata su roccia ad una quota mai vista prima da queste parti.
Tornato in Yosemite si lega ancora con Robbins per compiere la seconda salita del Dihedral Wall e poi con Chuck Pratt e Yvon Chouinard porta l’artificiale fino all’A5. Il legame con Chouinard non è solo in parete. I due infatti lavorano insieme soprattutto per la creazione e commercializzazione di materiale e abbigliamento da arrampicata conseguendo un successo che non ha bisogno di presentazioni.
Il 1968 è l’anno in cui con Dorene del Fium, Jim McCarthy, Sandy Bill, Dick Williams e Paula Lehr si dirige verso il Cirque of the Unclimbables dove scoprono e battezzano quella che sarà la Lotus Flower Tower. Nel 1970 Tom viene invitato da Chris Bonington per l’Annapurna South Face Expedition e scala anche con Jeff Lowe per tentare l’Ama Dablam e filmare l’avventura per l’ABC Wide World of Sports. Gli anni passano ma la passione non si riduce, anzi, nel 1986 Tom accetta l'offerta di unirsi a Jeff Lowe, Alison Hargreaves e Mark Twight per tentare un nuovo percorso sul versante nord del Kangtega.
A metà degli anni '90 Tom inizia a scalare di nuovo con suo figlio, Ryan, e rivede Yosemite per ripetere tutte le vie di El Capitan che aveva provato più di trent'anni prima.
Non sempre ha compiuto queste salite “solo” come componente attivo del team ma spesso anche come fotografo fornendo una quantità di spettacolari immagini da molte parti del mondo.
martedì 18 settembre 2018
JIM DONINI
Ecco un paio di incredibili foto che qualche giorno fa mi ha mandato il mio amico Jim Donini. Chi non lo conosce? Ecco chi è...
LATOK I
I primi a provarci, nel luglio 1978, furono gli americani Jim Donini, Michael Kennedy, George Lowe e Jeff Lowe. Fallirono, fermati dalla tempesta e dalle condizioni di salute di Jeff, ma la loro fu comunque un’impresa: un insuccesso, sì, ma più che luminoso, un titanico testa a testa di oltre tre settimane passate su quella cresta di 2500 metri che ad un certo punto, quando i quattro amici erano ormai a quota 7000, decise di cacciarli indietro.
Così l’inviolato Latok I rimase tale e fu soltanto nel 1979, ad opera di una spedizione giapponese guidata da Naoki Takada, che la sua prima ascensione divenne realtà. La squadra, piazzato il campo base sul ghiacciaio Baintha Lukpar, scalò il difficile pilastro sud, a sinistra del couloir tra il Latok I e il Latok III, e il 19 luglio, partiti dal terzo campo a 6500 metri, Tsuneo Shigehiro, Shin’e Matsumi e Yu Watanabe raggiunsero la vetta. Shigehiro con Hideo Muto, Jun’ichi Oku e Kota Endo fece il bis il 22 luglio, probabilmente senza immaginare che nessuno, negli anni e decenni seguenti, avrebbe ripercorso le sue tracce. In altre parole: il Latok I, dal 1979 ad oggi, non è più stato scalato.
La cresta nord, dopo l’epica avventura di Donini e compagni, è finita nel mirino di personaggi del calibro di Martin Boysen, Doug Scott, Simon Yates, Robert Schauer, Catherine Destivelle, Wojciech Kurtyka, i fratelli Benegas, Maxime Turgeon, Josh Wharton, Colin Haley e finalmente, nel 2011, degli italiani Ermanno Salvaterra, Andrea Sarchi, Cesare Ravaschietto, Marco Majori e Bruno Mottini. Ma il risultato è sempre stato lo stesso: nada de nada.
«Quella cresta è lunga, lunghissima – spiega Salvaterra –. Noi siamo saliti fino a 5400 metri dove, con la montagna in cattive condizioni, abbiamo dovuto mollare. Da lì, procedendo a destra, credo sia possibile portarsi oltre quella barriera di cornici e torri di ghiaccio a quota 5800, assolutamente invalicabile, che nel 2009 ha fermato Haley, Josh Wharton e Dylan Johnson. Più in alto, comunque, la faccenda si fa assai complicata… Io ci riproverei, certo, e se da una parte auguro a Wharton (che tornerà laggiù nei prossimi mesi, ndr) di riuscire, dall’altra quasi spero il contrario per giocare ancora le mie carte! Perché il Latok I è una montagna eccezionale: la sua parete nord, a sinistra della cresta, è qualcosa di pazzesco, una sfida per il futuro».
Carlo Caccia
da Montagne 360°, maggio 2012, pp. 24-27
da Montagne 360°, maggio 2012, pp. 24-27
Un emblema che da più di trent’anni rappresenta un connubio esplosivo di sfida e attrazione per il meglio dell’alpinismo mondiale.
E basta scorrere tra i grandi nomi dei protagonisti per capire quanto generosi ma anche inutili e frustranti, spesso drammatici, siano stati finora i tentativi, le schermaglie, i corteggiamenti in uno scenario di tale potenza.
E basta scorrere tra i grandi nomi dei protagonisti per capire quanto generosi ma anche inutili e frustranti, spesso drammatici, siano stati finora i tentativi, le schermaglie, i corteggiamenti in uno scenario di tale potenza.
Quella che mi piace ricordare è la grande cavalcata sulla cresta nord del 1978 di Jim Donini, Michael Kennedy, Jeff e George Lowe, la cordata forse più forte al momento in America.
Salirono per 100 lunghezze prima che Jeff fosse costretto a dar fine alla salita a sole tre lunghezze di corda dalla cresta. La discesa verso la salvezza del campo base -twenty-six days after leaving- fu definita da Donini in termini ‘epici’.
Salirono per 100 lunghezze prima che Jeff fosse costretto a dar fine alla salita a sole tre lunghezze di corda dalla cresta. La discesa verso la salvezza del campo base -twenty-six days after leaving- fu definita da Donini in termini ‘epici’.
1. Jim Donini, Michael Kennedy, Jeff Lowe e George Lowe, 1978
domenica 16 settembre 2018
RIECCOMI
Forse ora qualcuna/o sarà un po' invidiosa/o.
"La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha".
Oscar Wilde
Oscar Wilde
lunedì 27 agosto 2018
CIAO JEFF
Ci ha lasciati Jeff Lowe, a 67 anni. Un enorme lutto per il mondo dell’alpinismo. La malattia che da tanti anni lo accompagnava, una patologia neurodegenerativa, e lo costringeva alla sedia a rotelle lo aveva già portato via dalle sue montagne, ma nonostante ciò affrontava la vita con coraggio e senza mai abbandonare quella profonda passione per le terre alte che lo ha così profondamente segnato. È morto serenamente, circondato dalla sua famiglia; a darne notizia la moglie Connie.
"E così te ne sei andato.Eri forte, un Grande alpinista, un Grande uomo. Ogni tanto ci scrivevamo due righe e per me era un enorme piacere leggere le tue parole e scambiare due chiacchiere. Ciao Jeff!"
domenica 12 agosto 2018
PRESENTAZIONE
Giovedì 16 agosto, alle ore 18.00, presso la Casa della Cultura di Pinzolo, verrà presentato dall'autore Ennio Lappi, il libro "Quel piccolo nido d'aquila ai Dodici Apostoli".
Siete tutti invitati!
sabato 21 luglio 2018
venerdì 20 luglio 2018
venerdì 15 giugno 2018
mercoledì 6 giugno 2018
LA CAPRETTA IN ALTA MONTAGNA
L’animale, cocciuto come ci si aspetta dalla sua specie, aveva deciso di seguire due alpinisti sulla cima dell’Olperer, 3.476 metri nelle Alpi austriache, decidendo poi di fare di testa propria appena arrivata in vetta. Fino alla cima i due scalatori, una volta accorti della compagna, si erano infatti premurati di non farle perdere il sentiero, ma al momento della discesa Gretl ha deciso di imboccare un’altra strada, perdendosi.
Tornati a valle i due uomini hanno avvertito il soccorso alpino locale di Tux-Finkenberg, che, dopo un giorno di ricerca, hanno ritrovato la capretta bloccata sul pendio perché troppo stanca per proseguire.
Una squadra di quattro persone ha scalato quindi la montagna e, una volta trovata Gretl, se la sono messa in spalle riportandola a casa.
sabato 26 maggio 2018
OGGI CI HA LASCIATI - IL GRANDE ORESTE
Oreste, detto Trenta, è di Giustino e da giovane lavorava alla
cava di felspato Maffei. Erano tempi duri quelli. Il suo secondo lavoro era il
portatore. Portava viveri e materiale ai rifugi come il XII Apostoli, il
Segantini e la Lobbia Alta. Era il 1949, quando, Oreste (Trenta) e Pimpi
(Olimpio Olivieri, Tavela), anche lui di Giustino, salirono alla Madonnina per
incontrare il fratello di Pimpi che era salito con un cavallo per portare la
stufa. Non c’erano elicotteri e nemmeno la teleferica e quella stufa doveva
arrivare al XII Apostoli. A portare a spalle la stufa erano rimasti Pimpi e
Oreste. Era proprio “un pezzo da 90” la stufa. Pesava infatti 90 chili. Ricordo
ancora quando Oreste, a fatica, mi raccontava quella giornata. Ricordo i suoi
occhi felici nel rivivere quel ricordo. Le mie domande cercavano di provare un
po’ di quella fatica. Ma non ci riuscivo. Era per me inimmaginabile.
Inizialmente non capivo come si poteva portare tanto peso in due. Cercavo d’immaginarmi
loro, uno davanti e uno dietro. Oreste mi sorrise. E sempre in dialetto mi
disse che non era possibile procedere in quel modo. La stufa la portavano a
vicenda. Il piano superiore sulla schiena e con le mani arrappati al ferro
attorno alla stufa di ghisa. Un po’ Oreste, un po’ Pimpi. Rimasi senza parole.
Mi si seccò la bocca. A volte, quando mi trovo in Patagonia a camminare con lo
zaino pesante, ripenso all’Oreste e cerco di far finta di niente… Passò del
tempo e un giorno parlai con Pimpi e dopo un buon bicchier di vino andai
sull’argomento stufa. Mi piacque la sua spontaneità nel dirmi che la stufa,
quel “pezzo da 90”, la portò Oreste per quasi tutto il cammino. La cosa più
dura non era tanto il camminare ma il momento della sosta quando la si doveva
appoggiare a terra e molto di più al momento di appoggiarla sulla schiena
alzarsi in piedi. Però a Oreste piaceva questo lavoro. E poi mi piaceva vederlo
camminare sempre con la “cicca” fra le labbra. Mai l’ho sentito dire: “Che fatiche
facevano noi una volta…” Tanto grande quell'uomo anche se più basso di me.
2008 Ora credo abbia 75 anni ma sembra
ancora un ragazzino. Aveva poi lasciato Giustino e lavorava in una fonderia nel
bresciano e un giorno passando vicino al grande pentolone (non so come si dice
in gergo) pieno di acciaio fuso mentre stava versando il contenuto
incandescente negli stampi Oreste venne investito dai vapori. Ebbe per fortuna
la prontezza di gettarsi in un bidone d'acqua. Poco dopo i suoi compagni di
lavoro lo videro e prontamente lo tirano fuori dall'acqua prima che annegasse.
A parte il volto, rimase ustionato su tutto il corpo. E' difficile farlo
parlare quell'uomo. Con me però lo fa. Mi ha sempre detto che ha sofferto poco
perché, per fortuna sua, rimase 3 mesi in coma. Poi è ritornato alla vita. E'
sì un po' acciaccato ma non si lamenta mai. Le mani non gli consentirebbero di
fare quello che prima poteva ma in qualche modo si è adattato e fa tutto. Ora è
in pensione, nel senso che non lavora più con una paga mensile. Fa le sue cose
dalla mattina alla sera. Lavora anche per altri, per chi gli chiede. Tempo fa
ha fatto un lavoro anche per me e abbiamo quasi litigato per il prezzo. Voleva
5 euro all'ora! Io per quei soldi, ormai a fine lavoro, non volevo accettare
perché dal mio punto di vista erano troppo pochi e quando gli ho detto che glie
ne volevo dare almeno il doppio si è quasi arrabbiato. Mi ha detto che lui
lavora perché gli piace farlo e non per i soldi. Però siamo a casa mia e
quindi… Oreste ama molto andare per i monti e con sua moglie, Amabile, si fanno
giri in montagna di 10 e più ore al giorno. Una bellissima coppia, serena,
felice e amabile. Un grande maestro di vita potrebbe essere per tutti noi...
domenica 29 aprile 2018
WOW! DUE CANI SALVATI
La storia di due cani salvati dalla neve dopo 5 e 26 giorni
Dispersa cinque giorni tra la neve, a 2300 metri, a causa di una
valanga e riuscita a sopravvivere grazie ad una buca che aveva scavato nella
neve. Questa la disavventura di Stellina, la mascotte di Pian
Benot, nel torinese, famosa per accompagnare gli scialpinisti che salgono sulla
Pala Rusà.
Dopo la caduta della valanga, i padroni, gestori degli impianti,
avevano provato a cercarla, ma era impossibile raggiungere la zona a piedi. La
speranza non li ha però abbandonati: dopo cinque giorni sono finalmente riusciti
ad individuarla con il bincolo e così hanno chiamato i vigili del fuoco,
che intervenuti, l’hanno soccorsa con l’elicottero. Una visita dal veterinario,
qualche coccola ed è tornata a casa.
Ancora più incredibile la storia raccontata dal quotidiano il
Giorno di un cane travolto da una slavina in provincia di Sondrio,
alle pendici del monte Meriggio, e salvato dopo 26 giorni.
L’animale era insieme al padrone e ad un amico di questo, quando
sono stati sorpresi da una valanga. I due umani sono riusciti a salvarsi grazie
a degli alberi, del cane nessuna traccia.
Anche questa è una storia di profonda amicizia tra uomo e
cane, infatti il padrone tutti i giorni dall’incidente è
andato sul posto, cercandolo, finché il 26esimo ha sentito latrare. Guidato dai
guaiti è arrivato nel punto dove era ancora sepolto scavando fino a liberarlo.
L’animale sarebbe sopravvissuto grazie ad alcune volpi che incuriosite
avrebbero scavato un varco nella neve permettendogli di non finire
l’ossigeno.
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