mercoledì 23 gennaio 2019

FREE SOLO TRAILER

INTERVISTA A ALEX HONNOLD








FOTO photo credits: National Geographic, Free Solo The Movie
Alex Honnold, FREE SOLO il film. L’intervista
Il film FREE SOLO di Jimmy Chin e della compagna Elizabeth Chai Vasarhelyi (già regista e produttrice di Meru) sull’incredibile salita di Freerider di Alex Honnold su El Cap sta debuttando al festival di Toronto proprio in questi giorni e verrà presentato nelle sale statunitensi il 28 settembre. Ancora nessuna notizia sulla distribuzione in Italia. Abbiamo tradotto e trascritto (si, trascritto) una intervista molto bella, genuina e divertente che Alex a rilasciato a Shelby Stanger del sito Wild Ideas Worth Living, che fa capo al marchio di distribuzione outdoor REI.com. Alex con il suo solito stile scanzonato parla di sè, della sua famiglia, della fidanzata ed ovviamente del film. L’intervista è un po’ lunga e ho deciso di suddividerla in più parti. Questa è la prima.
Q. Alex benvenuto. Ho ascoltato molte tue interviste. Mi sembra di aver capito che le tue scelte sono sempre molto ben ponderate. Non solo in parete, ma anche quelle relative ai tuoi compagni di arrampicata o alle cose che fai nella vita. Sono quindi curiosa di sapere qualcosa di più dei tuoi genitori e di come sei cresciuto.
A. Ah … interessante… non mi aspettavo che la domanda girasse in quella direzione… Non so bene come faccio le mie scelte, sembrerà banale ma cerco solo di avere una vita coerente con i miei valori e di fare le cose solo dopo averci rifletutto per bene. In questo senso mia sorella è ancora più riflessiva di me. È una cosa interessante, anche perché non è che siamo stati educati dai nostri genitori a comportarci in quel modo. L’educazione che abbiamo ricevuto è stata decisamente più improntata sul lasciarci fare sostanzialmente quello che volevamo. I nostri genitori erano entrambi insegnanti di lingua al College e, non so, forse proprio per questo hanno voluto che imparassimo fin da subito a fare le nostre scelte liberamente ed hanno sempre desiderato che fossimo in grado di valutare le cose unicamente con la nostra testa. Non è che non si interessassero a noi, ma di sicuro erano molto lontani dall’essere dei genitori super presenti o iper protettivi in ogni momento della nostra vista.
Q. Ah … grande. Hai qualche aneddoto in proposito?
A. Si, ne stavo parlando proprio l’altro giorno e c’è questa cosa che è successa con i miei che a posteriori è abbastanza divertente. Mentre ero al liceo mi piaceva sempre fare dei lunghi giri in bici, andando anche molto lontano da casa. Abitavamo a Sacramento e quella volta mi spinsi realmente lontano, prendendo una strada sconosciuta che mi portò in aperta campagna. C’erano solo campi a perdita d’occhio e la città non si vedeva più da nessuna parte. Avevo 14 o 15 anni e pensai di essermi perso. Ad un certo punto passa un pickup e l’autista mi chiede se sapevo dove si trovasse una certa via. Al che gli rispondo “No, non so dove sia quella via. Tu invece sai per caso dove si trova Sacramento?”. Lui allora mi risponde “… ma che dici? Sei lontanissimo da Sacramento e stai anche andando nella direzione sbagliata. Ti sei perso! Salta su che ti accompagno.” Carichiamo la bici sul retro del pickup e mi faccio riaccompagnare fino alla periferia sud della città, che comunque non conoscevo. Era buio già da un po’. Fortunatamente riesco a ritrovare il fiume e, seguendolo a ritroso, dopo altre ore, trovo finalmente la via di casa. Era tardissimo, ero completamente distrutto e il contachilometri della bicicletta segnava più di 70 miglia (112km ndt)! I miei erano ancora in soggiorno sul divano. Tutto gasato comincio a raccontare, ma sembravano abbastanza indifferenti. Ce la metto tutta,  racconto della deviazione sbagliata, i campi, l’autista, il fiume, tutti quei chilometri … ma niente. Il massimo che riesco ad ottenere da mio padre è un “Ah, …ok“. Nessuno dei due era particolarmente interessato di sapere dove fossi stato o cosa avessi fatto per tutto il giorno. In effetti a ripensarci non so nemmeno se si fossero effettivamente accorti che non ero a casa! (Ride).
Q. Pazzesco! E cosa pensano di quello che fai ora? Saranno probabilmente molto orgogliosi …
A. Beh mio padre purtroppo è morto quando avevo 19 anni e quindi si è perso tutta l’ultima parte della mia vita… ed è un peccato perché mi accompagnava sempre a scalare e mi faceva sicura in palestra quando ero ancora agli inizi. Ha avuto un infarto all’aeroporto di Phoenix.
Q. Il che probabilmente ti ha insegnato qualcosa sulla vita e sulla morte …
A. Capisco quello che intendi. Un paio di anni prima era morto mio nonno, al quale ero molto affezionato e con cui giocavo sempre a carte quando lo passavo a trovare di ritorno dalla palestra. Due anni dopo è morto mio padre ed anche il mio nonno materno è morto nello stesso periodo. Viveva in California e non ci vedevamo molto spesso… La somma di tutti questi sconvolgimenti familiari mi ha fatto improvvisamente rendere conto di quanto la vita sia sostanzialmente breve… Se poi vogliamo scavare più in profondità … va detto che in pratica i miei genitori si sono separati quando avevo 18 anni, alla fine del liceo. Abbastanza un classico. Penso che entrambi non fossero contenti di come andava il loro matrimonio. Non che ci fosse un qualche conflitto in corso, ma, molto più semplicemente, non erano più felici insieme.
Quando hanno divorziato mio padre si è trasferito ad abitare nella grande casa di mia nonna, che nel frattempo era rimasta sola. E subito dopo aver cambiato vita è diventato improvvisamente più disponibile ed interessato, anche nei miei confronti. Purtroppo è morto poco tempo dopo.
Tutte queste perdite in famiglia ci mandano dei segnali e ci avvisano costantemente che dobbiamo sempre cercare di fare le cose giuste nella  nostra vite, senza sprecare tempo.
Q. Quello che hai detto è una cosa bellissima e ti ringrazio di essere così trasparente e di voler condividere queste tue emozioni.
A. È solo la realtà di quello che succede normalmente nella vita delle persone…
Q. Tutti ti chiedono della morte o se hai paura della morte, visto il genere di attività che fai. Mi sembra però che nessuno si renda effettivamente conto di quanto tu abbia ragionato o pensato alla morte.
A. Si, è una cosa buffa. Ad ogni intervista c’è sempre qualcuno che chiede se penso mai alla morte. La risposta è si, ovviamente ci penso. E ci penso non solo perché qualcuno me lo chiede nelle due interviste a settimana che ho fatto in media negli ultimi mesi. Quando stai per fare qualcosa che potrebbe essere potenzialmente letale è ovvio che pensi alla morte. Avendo perso amici e parenti è altrettanto naturale pensarci. Fa parte della nostra vita. Le persone attorno a noi muoiono. Noi stessi, prima o poi, moriremo.
Q. Hai qualche consiglio da dare alle persone su come abituarsi di più all’idea della morte? In Nuova Zelanda, ad esempio, dove ho vissuto per un periodo, hanno questa tradizione di dormire per una settimana nella stessa stanza del defunto …
A. Si… è un po’ come la meditazione buddhista sulla morte … per mezzo della quale possiamo cercare di liberarci dal potere che la morte esercita su di noi. È lo stesso genere di approccio, dal momento che normalmente non ci relazioniamo alla morte abbastanza frequentemente. È questione di accettare il fatto che tutti noi siamo destinati a morire. Dovremmo cercare di essere più aperti verso di essa, in modo da considerarla una parte fondamentale del ciclo della vita.
Q. Sembra che tu abbia esaminato le implicazioni del morire così in profondità da aver deciso di vivere la tua vita aprendoti all’amore e alla passione per l’arrampicata, pur senza essere pagato per farlo. Sembra quindi che tu stia proprio seguendo il tuo cuore in tutte le cose che fai.
A. Si, penso si possa dire così.
Q. È così che prendi le tue decisioni?
A. Si, suona un po’ ridicolo da dire, ma è così. Cerco sempre di seguire le mie passioni …
Q. Recentemente abbiamo parlato della tua ragazza, hai postato delle cose su di lei, sembra che sia una tipa a posto ed entrambi sembrate molto innamorati
A. Si, lei è fantastica
Q. Come vi siete incontrati?
A. Ci siamo incontrati alla presentazione di un libro. Dovevo presentare il mio ultimo libro a Seattle, lei mi ha dato il suo numero e poi …
Q. Lei ti ha dato il numero? E poi? Che cosa è successo?
A. È una lunga storia … dovrebbe essere lei a raccontarla … comunque … stavo facendo un tour promozionale per il libro, e lei era appena uscita da una relazione complicata via Internet. Aveva quindi deciso di fare le cose alla vecchia maniera e di lasciare il suo numero al primo ragazzo carino che avesse incontrato. Non è che nemmeno arrampicasse, aveva iniziato da poco, e questa sua amica le aveva chiesto di accompagnarla alla presentazione del mio libro … e quindi ci siamo incontrati lì e mi ha dato il numero …
Q. Nel senso che si è messa in fila con quelli che volevano farsi firmare il libro?
A. Si, c’erano tipo duecento persone in fila, in totale avrò fatto un milione di firme… non lo so …
Q. E quindi … come si chiama la tua ragazza?
A. Si chiama Sanni, che sarebbe poi il diminutivo di Cassandra.
Q. E quindi Sanni si è messa in fila e ti ha dato il suo numero di telefono … scritto dove … su un pezzo di carta?
A. Si ha scritto su un pezzo di carta qualcosa tipo “Perché mi hai fatto ridere …” e qualcos’altro… e il numero di telefono …
Q. Qualcos’altro cosa…
A. Non mi ricordo esattamente … aspetta … era tipo “Perché mi hai fatto ridere … e quindi perché no?“. Più il nome e il numero di telefono …
Q. E cosa fate quando state assieme… che per altro non so proprio quando questo possa succedere, visto che sei richiestissimo per interviste ed impegni vari…
A. A dire il vero non rispondo alle email da mesi. Sono in modalità Vacanza-Totale ed al momento prevalentemente non faccio un cazzo, nel vero senso della parola. Cominciavo ad essere un po’ esaurito da tutti gli impegni di cui sopra.
Q. E quindi che fai?
A. Ma… è un po’ imbarazzante in realtà … Faccio videogiochi al computer, vado in palestra o ad arrampicare normalmente, di tanto in tanto. Roba così. Da arrampicatori. Niente lavoro, però.
Q. Videogiochi? Veramente? Quale videogioco? Sono curiosa…
A. L’ho detto che sarebbe stato un po’ imbarazzante … comunque è Diablo 3. Mi ricorda la mia infanzia. Lo sto giocando da un paio di settimane… ma è un gioco qualsiasi random… avrebbe anche potuto essere diverso. È un’occupazione come un’altra, che mi tiene al contempo sia occupato che moderatamente interessato e che permette a grossi blocchi di tempo di trascorrere … Non sto lavorando, non mi sto allenando, non sto facendo niente di importante, mi rilasso e basta.
Q. Ah beh, il concetto di far trascorrere il tempo è una cosa interessante. Mi ricordo però che, relativamente alla salita in Free Solo di Freerider, hai detto che era una cosa a cui pensavi dal 2009. Un periodo di tempo bello lungo per un obiettivo come questo.
A. Si, anche se è entrato nell’ambito delle cose possibili soltanto nel corso dell’ultimo anno. Certo, un sogno lungo un anno è comunque una cosa grossa, ma non è che sono stato perennemente concentrato su El Cap. Per i primi sei anni è stata più una cosa del tipo: “ah si, sarebbe fico, magari lo farò il prossimo anno“, poi l’anno dopo ti presenti in Yosemite, guardi la parete e ti dici “ah no… magari non quest’anno, ma sicuramente il prossimo, perché adesso mi fa ancora troppa paura” … E sono emozioni normali… se non ci fossero state queste sensazioni Freerider l’avrei salita senza corda già nel 2009. Probabilmente all’epoca avevo già un 75% di possibilità di poterla fare slegato. Era il restante 25% che mi metteva un po’ a disagio. Non ero per niente sicuro, e 25 è una percentuale abbastanza alta di potenziale fallimento e morte. Ovviamente non avevo intenzione di assumermi quel rischio.
Q. E quindi come è stato l’ultimo anno di preparazione per la salita? Ho sentito che ti sei anche cancellato dai social media…
A. Solo per le ultime sei settimane, ma dei social media non me ne frega granché. Anche adesso che sono in vacanza non ho postato quasi niente durante l’ultimo mese o quasi. Penso sia una buona cosa prendersi delle pause di tanto in tanto.
Q. Beh hai avuto un’annata bella piena …
A. Il fatto è che il film della salita in free solo, che si chiamerà appunto Free Solo, verrà presentato nei festival verso la metà di Settembre e ad Ottobre sarà nelle sale. Quindi ora è come se stessi raccogliendo tutte le energie possibili per l’assalto finale, visto che farò tutto il tour promozionale.
Q. Il film tu l’hai visto?
A. Si l’ho visto
Q. Parlacene un po’.
A. Eh… è bello … che ti devo dire … mi sembra venuto molto bene. Mi sento sempre un po’ coglione nel rispondere a questa domanda con frasi tipo “il mio film è bellissimo, lo devi vedere assolutamente“… Mi fa anche un effetto strano il vedermi sullo schermo per tutta la prima parte del film, che narra della preparazione, dell’allenamento e di tutti gli anni trascorsi a sognare quel progetto. Le riprese fatte durante la salita in free solo sono assolutamente mozzafiato. Sono molto orgoglioso di come è venuto alla fine. Veramente molto bello.
Q. C’è qualche anticipazione che ci puoi dare o non si può dire ancor niente, visto che il film non è ancora stato presentato?
A. In che senso? È il mio film, posso dire quello che mi pare…, No cioè, almeno tecnicamente in realtà non è il mio film perché non sono io ad aver fatto le riprese. In compenso però sono io ad aver fatto la via, quindi … Ovviamente sto scherzando. La parte più difficile del lavoro è stato l’editing, le riprese in parete, la scelta della musica eccetera. Penso sia un lavoro interessante. In pratica è un documentario che descrive tutto il viaggio che ho fatto per arrivare a salire El Capitan in free solo.
Q. C’è qualche scena del film che ti è piaciuta più di altre?
A. Nella scena iniziale ci sono io che scalo senza corda questa via in Yosemite, e la scena è veramente epica, esposizione pazzesca, slegato, riprese da una gru che avevano installato alla fine della via. Veramente impressionante. Lo spettatore medio penserà “ah ok, questa è la scena fondamentale del film ed ora ci faranno un pippone a ritroso per spiegarci il perché ed il percome”. In realtà no… la ripresa l’abbiamo fatta all’uscita della via del Rostrum, e Jimmy non era nemmeno sicuro di volerla inserire nel fim. Questo per dire che le scene fondamentali sono molto più belle ed emozionanti di questa.  Jimmy ha deciso inoltre di non volersi addentrare troppo in dettagli specifici di arrampicata tipo gradi, storie, valutazioni o nomi di nessuna delle vie che vengono mostrate nel film, eccezion fatta per Freerider, che è la via oggetto del documentario. Lo spettatore profano mi vedrà arrampicare su tutta una serie di vie sconosciute e probabilmente penserà che sono state girate tutte in Yosemite, visto che il colore della roccia è molto simile. Invece solo gli ultimi venti minuti del film sono sulla via vera e propria, ed il resto mostra le dozzine di vie che ho salito in preparazione di Freerider.
Q. Mentre stai arrampicando come interagisci con Jimmy che ti sta filmando? Vi parlate?
A. Si, certo, parliamo mentre sto arrampicando. Per altro Jimmy in parete non era solo, c’erano diverse altre persone addette alle riprese e al sonoro. Quando arrampicavo su un tratto difficile ero ovviamente concentrato al 100% su quello che sta facendo. Quando invece l’arrampicata era più semplice c’era anche il tempo di parlare e di scambiarci qualche battuta.
Q. Quanto ci hai messo per completare Freerider?
A. Poco meno di 4 ore. Tre ore e cinquantasei minuti per l’esattezza.
Q. Che è un bel po’ di tempo, considerando che eri slegato. Ti ricordi di qualche pensiero particolare che hai avuto durante la salita o eri troppo concentrato per averne?
A. È successo un po’ di tutto. Sui tiri facili ho pensato a tante cose. Sui tiri realmente duri e nelle sezioni chiave della via ero invece concentrato al 100%, su quello che stavo facendo. Su El Cap la maggior parte dei tiri sono tecnicamente facili, essendo fessure di 5.9. Sulla parte facile della via ho pensato veramente a qualsiasi cosa. All’inizio ero un po’ distratto perché la giornata era un po’ più umida rispetto a quanto mi ero aspettato. Quindi pensavo cose tipo…”sto sudando troppo, che devo fare, forse ho sbagliato giorno …” e cose così. Poi verso metà c’è stata, non so come altro definirla, una specie di ondata di gratitudine verso tutti quelli che mi avevano aiutato, in un modo o nell’altro, nella realizzazione di quel progetto. Mano a mano che superavo sezioni specifiche della via, pensavo a tutti quei compagni di cordata che mi avevano accompagnato a provare la via negli anni. Poi più in alto ho avuto diversi momenti macho in cui pensavo “vai Alex, la stai proprio macinando, vai così, sei incredibile, sei il più grande” che però venivano repentinamente sostituiti da pensieri più razionali tipo “ma che dici, stai concentrato, respira, ancora non è finita“. È molto facile in queste situazioni farsi trasportare dall’entusiasmo. Poi magari un secondo dopo ti scivola un piede e sei morto. È stato un mix di emozioni pazzesco, veramente una bellissima esperienza.
Q. E quando sei arrivato in cima che hai fatto?
A. Abbiamo festeggiato un po’. Jimmy continuava a riprendere, assieme ad altri due membri della crew. Abbiamo fatto un po’ di riprese dell’uscita, sarebbe stato strano il contrario, visto che avevo finalmente portato a termine un progetto che era durato anni. Poi abbiamo incominciato a scendere e appena c’è stato il segnale del telefono ho fatto qualche chiamata. Ho chiamato Sanni per dirle che era tutto ok, ho chiamato Tommy (Caldwell) che mi ha aiutato tanto sulla via con i suoi consigli. Tommy ha anche un ruolo molto importante nel film…
Q. Mi vengono i brividi solo a sentirne parlare … Non vedo l’ora di poterlo vedere …
A. Si guarda il film è veramente bello. La musica è bellissima. Quando si abbinano scene di arrampicata riprese in maniera pazzesca con la grande musica sinfonica della colonna sonora il risultato è veramente da brividi.
Q. Molti atleti, anche di altri sport, raccontano che al termine di una impresa particolarmente difficile e complicata subentra una sorta di depressione. Non so se questo sia avvenuto anche nel tuo caso …
A. Non lo so… dopo che ho finito le riprese mi sono preso un mese di stacco totale. Ero un po’ esaurito e stanco. Capisco benissimo che questa cosa della depressione possa succedere, mi sembra assolutamente normale. Nel mio caso però è come se, fin da prima, avessi sempre cercato di guardare oltre l’impresa di El Cap.
Ho sempre cercato di guardare oltre, anche poche settimane prima della data che più o meno avevo in mente. Poi, a distanza di una settimana, ho fatto un viaggio alpinistico in Alaska, e l’inverno successivo sono andato al Polo Sud con una spedizione North Face, più ci ho infilato altri obiettivi di arrampicata in mezzo.
Anche quando ero nel bel mezzo della preparazione per la salita in free solo, già dentro la mia testa cercavo di guardare oltre, verso gli obiettivi successivi, uno dei quali è stato anche il record di salita del Nose sotto le due ore che abbiamo fatto io e Tommy un paio di mesi fa.
È una specie di trucco mentale che ti serve anche per togliere un po’ di pressione da quello che stai facendo. Se ti stai preparando per un’impresa come questa e pensi “Questa è la cosa più importante della mia vita” quello che può succedere è che il tuo progetto diventi troppo grande, rischi di diventare ingestibile e, nel caso del free solo, ti sembri persino più pericoloso di quello che è realmente. Ho sempre cercato di ricordare a me stesso che salire El Cap senza corda era sicuramente una cosa molto importante, ma era solo uno dei dei tanti progetti che stavo cercando di portare a termine in quel periodo: Polo Sud, Speed record, Alaska, arrampicare meglio in falesia… eccetera.
È come qualcuno che si allena per la sua prima maratona e continua ad aggiungere pressione pensando “questo è l’unico scopo della mia vita, 42 km è il massimo che potrò mai correre, mi devo impegnare perché non c’è nient’altro di altrettanto importante …“. La realtà è che qualsiasi persona può correre i 42 chilometri della maratona. Se fossimo inseguiti da qualcuno che ci vuole uccidere probabilmente saremmo in grado di correrne anche di più. Quindi piuttosto che alimentare la pressione su una singola sfida, come se questa fosse l’ultima cosa che facciamo nella nostra vita, io cerco di guardare oltre e di considerare ogni singolo progetto come uno step importante nel tipo di vita che ho scelto di fare.
Sia che quello stesso progetto venga completato oppure no. Chi se ne frega. Sto comunque andando avanti in quello che voglio fare nella mia vita.
Q. Mi sembrano consigli molto sensati. Parlando d’altro … pratichi qualche tipo di allenamento mentale … qualcosa di strano, che ne so, tipo il metodo Wim Hof?
A. Wim Hof? No grazie. Decisamente no. Penso per altro che Wim abbia tenuto uno speech alla conferenza degli atleti North Face dello scorso anno. Purtroppo non c’ero. Ho un amico che per qualche mese ha fatto tutti quegli esercizi di immersione nell’acqua gelata, controllo del respiro, eccetera. Per quel che mi riguarda semplicemente non mi interessa.
Q. Fai Yoga? Meditazione?
A. No, non faccio nulla di meditazione. Lo Yoga però serve. Faccio stretching, ogni tanto.
Q. Dopo questa impresa sei diventato un atleta professionista piuttosto famoso e conosciuto. Come gestisci questa responsabilità?
A. Fortunatamente è una cosa che si è costruita nel tempo e che non è esplosa in maniera improvvisa dall’oggi al domani. Se a 23 anni mi fossi improvvisamente trovato nella posizione in cui sono ora mi sarebbero sicuramente venuti degli attacchi di panico. La popolarità è venuta in maniera abbastanza graduale, e quindi riesco a gestirla abbastanza bene.
L’altra settimana ad esempio abbiamo avuto un evento BD in una palestra qui di Denver. Ero con altri quattro o cinque arrampicatori professionisti e la palestra era piena all’inverosimile. Avrò fatto centinaia di selfie e firmato non so quanti poster. Anche solo dieci anni fa non sarei minimamente stato in grado di fare una cosa del genere. Tutte quelle persone e tutta quella confusione mi avrebbero mandato a pezzi, visto che ero piuttosto timido e timoroso di apparire in pubblico.
Durante quella stessa serata diverse persone mi hanno chiesto se non odiassi tutta quella confusione e quell’attenzione da parte di estranei. In genere, in questi casi la mia risposta è che è molto meglio fare questo piuttosto che essere costretti a fare un lavoro vero. Meglio firmare poster una volta ogni tanto per un’ora e mezza che fare un lavoro vero dalle nove alle cinque, tutti i giorni.
Ovviamente ci sono alti e bassi, ma, nel complesso, preferisco essere un arrampicatore professionista rispetto a qualsiasi altra professione che avrei potuto intraprendere nella mia vita.
Q. Quante volte sei arrivato in cima a El Cap?
A. Ah, proprio l’altro giorno ho fatto il conteggio. Ho una specie di libro-giornale che ho tengo dal 2005 e dove segno tutte le vie che faccio. Faccio anche foto a riviste o a pagine web, anzi sarebbe tutto da trascrivere. Ci ho provato diverse volte, ma non è che ne abbia tutta questa voglia. Avrei bisogno che uno stagista che lo facesse per me, anzi se vogliamo fare questo annuncio…
Q. Che annuncio? Cercasi stagista per Alex Honnold?
A. Ah Ah … si.. anche se probabilmente sarebbe abbastanza imbarazzante che qualcuno leggesse quello che c’è scritto. Non che ci sia qualcosa di particolarmente scabroso, ma non so che cosa posso aver scritto dopo magari essere stato chiuso nel furgone per una settimana …  
Q. Quindi quante volte?
A. Quante volte cosa?
Q. Quante volte in cima a El Cap?
A. Ah! Penso di aver salito la parete di El Capitan circa 80 volte, lungo vie diverse. Mi sono fatto una nota sul telefono adesso la cerco. Dovrei avere l’elenco esatto via per via. Penso di aver fatto il Nose una trentina di volte. La Salathè o Freerider circa quindici o venti. O forse di più. Adesso lo cerco sul telefono, un attimo… Ecco qua. Ho registrato 81 top sul El Capitan, 18 vie diverse. Nose 33 salite.

Q. Parliamo della presentazione del film che farai tra non molto. Vedo che sei diventato un oratore particolarmente eloquente. Qualcuno da The North Face mi ha detto che ti hanno assegnato un coach …
A. Si, nel senso che un tizio si è presentato per un giorno ed abbiamo parlato per un po’ …
Q. Cioè? Non ti è servito?
A. Al contrario. È stato estremamente utile, ma è impossibile pensare di insegnare a qualcuno come parlare di fronte a un’assemblea di persone in un’unica lezione. Nessuno è in grado di imparare una cosa del genere in un giorno, giusto? Parlare con lui mi è comunque servito. Mi ha permesso di dare una struttura alle cose che avevo da dire, ad organizzarle in maniera giusta in modo da renderle più efficaci.
Q. Qual’è il messaggio?
A. In realtà il discorso che faccio è molto legato al film. In sostanza metto a confronto le due esperienze di solitarie senza corda sull’Half Dome e su El Capitan. El Cap è stata probabilmente la più bella esperienza di arrampicata della mia vita, mentre l’Half Dome è sicuramente stata un’esperienza negativa, anche se non la peggiore in assoluto. Durante la salita mi sono molto spaventato e quando sono arrivato in cima ho pensato che ero stato fortunato ad uscirne vivo.
Il discorso che faccio mette quindi a confronto queste due esperienze per mostrare il valore della preparazione e dell’allenamento, sia fisico che mentale.
Q. Più in generale qual’è il tipo di messaggio che trasmetti durante le conferenze che fai?
A. Beh, dipende ovviamente dal contesto …
Q. Si certo. Le persone spesso si sentono intrappolate in una vita che non li soddisfa e manifestano paure, dubbi ed incertezze relativamente alla loro esistenza. Hai qualche consiglio per loro? Sognano di fare qualcosa ma non sono in grado di seguire i loro desideri e temono di fare scelte di vita azzardate.
A. Mah, quello che gli direi è di mandare tutto a fanculo, di seguire semplicemente i loro sogni e di fare quello che desiderano fare maggiormente. So che è una cosa un po’ estrema da dire, ma penso che le persone dovrebbero trovarsi più spesso in situazioni potenzialmente pericolose per la loro vita, perché questo le aiuterebbe a mettere le cose nella giusta prospettiva.
Molte delle paure legate a pensieri come “si, ma che succede se perdo il lavoro … e se poi non è la scelta giusta … che succede se incasino la mia vita” nel momento in cui sono inserite in un contesto più ampio tendono a diventare inconsistenti e a sciogliersi al sole. La cosa più importante è essere vivi. Se sei vivo e ti diverti a fare quello che stai facendo significa che la vita è bella. Tutto il resto ha poca importanza. Non so se questi pensieri mi siano stati veicolati dall’arrampicata e/o da una serie di momenti realmente brutti che ho attraversato. Ma è un po’ come quando sei in ritardo all’aeroporto … la maggior parte delle persone sbrocca … oddio sono in ritardo, come farò, non arriverò in tempo al gate … Chi se ne frega! Prenderai il prossimo volo, rilassati. E se quello era l’ultimo volo, pazienza, prenderai un altro aereo domani. E anche se arriverai 12 ore dopo non importerà a nessuno. Visto che vivrai almeno fino a 85 anni alla fine non ti ricorderai nemmeno più di quella notte che hai passato su una sedia all’aeroporto di Chicago. Anche se sei stato scomodo per 8 ore su una sedia questo non fa nessuna differenza nel grande schema della vita.
Q. Sei sempre stato così tranquillo e rilassato?
Al contrario. La prima volta che ho perso una coincidenza a Chicago ero devastato dall’ansia! Ma si impara dai propri errori. Finché siamo vivi e finché continuiamo a muoverci in avanti vuol dire che la vita ci sorride!


sabato 12 gennaio 2019

giovedì 10 gennaio 2019

GRANDE SALVATAGGIO







Austria, fermata straordinaria per il treno: i macchinisti liberano il camoscio sotterrato dalla neve


Due lavoratori delle ferrovie austriache hanno fermato il loro convoglio per salvare un camoscio rimasto bloccato sotto una valanga accanto alla ferrovia. L'animale era bloccato in a un cumulo di neve a lato dei binari nel Parco nazionale Gesäuse, nell'Austria centrale. Raccontano che l'animale sembrava ferito, non riusciva a muoversi e si sentivano solo lamenti continui.
Dopo che il camoscio è stato liberato grazie alle palate dei due operai, invece è zompettato nel terreno innevato puntando tranquillo agli alberi.