LATOK I

I primi a provarci, nel luglio 1978, furono gli americani Jim Donini, Michael Kennedy, George Lowe e Jeff Lowe. Fallirono, fermati dalla tempesta e dalle condizioni di salute di Jeff, ma la loro fu comunque un’impresa: un insuccesso, sì, ma più che luminoso, un titanico testa a testa di oltre tre settimane passate su quella cresta di 2500 metri che ad un certo punto, quando i quattro amici erano ormai a quota 7000, decise di cacciarli indietro.
Così l’inviolato Latok I rimase tale e fu soltanto nel 1979, ad opera di una spedizione giapponese guidata da Naoki Takada, che la sua prima ascensione divenne realtà. La squadra, piazzato il campo base sul ghiacciaio Baintha Lukpar, scalò il difficile pilastro sud, a sinistra del couloir tra il Latok I e il Latok III, e il 19 luglio, partiti dal terzo campo a 6500 metri, Tsuneo Shigehiro, Shin’e Matsumi e Yu Watanabe raggiunsero la vetta. Shigehiro con Hideo Muto, Jun’ichi Oku e Kota Endo fece il bis il 22 luglio, probabilmente senza immaginare che nessuno, negli anni e decenni seguenti, avrebbe ripercorso le sue tracce. In altre parole: il Latok I, dal 1979 ad oggi, non è più stato scalato.
La cresta nord, dopo l’epica avventura di Donini e compagni, è finita nel mirino di personaggi del calibro di Martin Boysen, Doug Scott, Simon Yates, Robert Schauer, Catherine Destivelle, Wojciech Kurtyka, i fratelli Benegas, Maxime Turgeon, Josh Wharton, Colin Haley e finalmente, nel 2011, degli italiani Ermanno Salvaterra, Andrea Sarchi, Cesare Ravaschietto, Marco Majori e Bruno Mottini. Ma il risultato è sempre stato lo stesso: nada de nada.
«Quella cresta è lunga, lunghissima – spiega Salvaterra –. Noi siamo saliti fino a 5400 metri dove, con la montagna in cattive condizioni, abbiamo dovuto mollare. Da lì, procedendo a destra, credo sia possibile portarsi oltre quella barriera di cornici e torri di ghiaccio a quota 5800, assolutamente invalicabile, che nel 2009 ha fermato Haley, Josh Wharton e Dylan Johnson. Più in alto, comunque, la faccenda si fa assai complicata… Io ci riproverei, certo, e se da una parte auguro a Wharton (che tornerà laggiù nei prossimi mesi, ndr) di riuscire, dall’altra quasi spero il contrario per giocare ancora le mie carte! Perché il Latok I è una montagna eccezionale: la sua parete nord, a sinistra della cresta, è qualcosa di pazzesco, una sfida per il futuro».
Carlo Caccia
da Montagne 360°, maggio 2012, pp. 24-27

Un emblema che da più di trent’anni rappresenta un connubio esplosivo di sfida e attrazione per il meglio dell’alpinismo mondiale.
E basta scorrere tra i grandi nomi dei protagonisti per capire quanto generosi ma anche inutili e frustranti, spesso drammatici, siano stati finora i tentativi, le schermaglie, i corteggiamenti in uno scenario di tale potenza.
Quella che mi piace ricordare è la grande cavalcata sulla cresta nord del 1978 di Jim Donini, Michael Kennedy, Jeff e George Lowe, la cordata forse più forte al momento in America.
Salirono per 100 lunghezze prima che Jeff fosse costretto a dar fine alla salita a sole tre lunghezze di corda dalla cresta. La discesa verso la salvezza del campo base -twenty-six days after leaving- fu definita da Donini in termini ‘epici’.
1. Jim Donini, Michael Kennedy, Jeff Lowe e George Lowe, 1978