mercoledì 11 maggio 2016

DANIELE NARDI - NANGA PARBAT

“Sento di dovere una risposta ed un racconto”. Dopo tre mesi Daniele Nardi racconta la sua verità sulla spedizione al Nanga Parbat, rispondendo finalmente a molte delle domande che gli erano state sollevate da quando aveva abbandonato il Campo Base e che erano rimaste inevase. Nardi comincia a raccontare la spedizione dall’inizio: il trekking di avvicinamento; l’ipotesi di spostarsi sullo sperone Mummery per evitare di sovrapporsi alla spedizione di Bielecki e Czech, idea subito scartata per l’eccessiva pericolosità; il volo di Bielecki a causa della rottura di una corda e l’amicizia con l’alpinista polacco. “L’alpinismo ci da la possibilità in montagna di scoprire veramente chi siamo di conoscere gli altri in qualche modo… almeno così credevo” Nardi racconta anche della sua di caduta: “Quando arrivo in alto sto per superare le rocce e ad un certo punto passo da una corda nera a delle altre corde. E’ stato un battito di ciglia e BOOM sbatto la testa con il caschetto sul pendio sottostante”. Un incidente che ha segnato in modo definitivo i rapporti tra Daniele e la sua squadra. Perde conoscenza per qualche minuto, per poi riprendersi: “Urlo ai miei compagni che sono caduto, urlo e non ho nessuna risposta. Solo dopo una decina di minuti Alex mi risponde, è su in alto […] mi chiede come sto, gli rispondo che sto bene, che non ho nulla di rotto, ma che devo scendere. Lui insiste che devo continuare a salire” ma Nardi non se la sente, così Alex decide che manderà Alì da lui, il tempo di raggiungere campo 2. Daniele chiama il campo base, cerca la voce amica di Bielecki, che però non c’è, riceve solo una risposta, quella di Simone Moro: “Risponde Simone Moro, che mi dice con grande chiarezza che sono sotto choc e non devo continuare a scalare in queste condizioni, devo scendere. Per me è una conferma importante”. Scende la notte, Daniele deve tornare a campo base, dopo il volo di una decina di metri, e finalmente sente la voce di Alì in alto, che recupera delle attrezzature e riprende la salita per tornare a campo due. “Sono solo, è una situazione che non riesco a capire”. Nardi sfoga la sua rabbia per la mancanza di aiuto da parte dei suoi compagni alla fotocamera, con parole forti, dettate dalla situazione difficile, dallo choc: “Alì alla fine è sceso fin dove stavo io e le sue ultime parole prima di andarsene sapete quali sono state? Scendi giù, quest’anno non sei buono. Si è preso lo zaino e se ne è andato su” e continua “questi non sono alpinisti… io però sopravvivo da solo […] Scendo io da solo in questo mare di buio sulle rocce Kinshofer, voi tranquilli andate a scalare il Nanga Parbat che è più importante… ma andatevene affan…”. “Lo choc della discesa è stato forte […] ma ho deciso di affrontare questa paura e di continuare la spedizione, per me questa è una cosa importantissima e voglio affrontarla.”. Torna quindi sulla montagna, fino a campo 2 e con Alex ed Alì fissa le corde fino a campo 3. “Tutto è pronto per il tentativo di vetta. Abbiamo fissato le corde fino a campo 3, abbiamo la tenda a campo 2 con il cibo e quant’altro è davvero tutto pronto, serve solo una finestra di bel tempo”. Il lavoro è quindi fatto, è solo questione di pazientare. “E’ proprio in questo momento, quando tutto era pronto, che il capo spedizione mi dice che gli italiani vogliono salire lungo la nostra via. È una bella cosa salire insieme ed unire le forze per tentare la scalata, ma la cosa contrastava un po’ con le direttive che il capo spedizione ci aveva inviato prima della spedizione […] nessuno avrebbe potuto usare le nostre corde se non che quando noi avremmo finito i nostri tentativi”. “Loro (Moro e Lunger ndr) propongono di pagare una quota per il fissaggio delle corde”, ma Nardi non vuole soldi, perché non vuole essere trattato come un portatore: è lì per scalare la montagna, arrivare in vetta e non “a prender soldi per fissare le corde sulla montagna”. La nuova squadra è fatta, un team composto da cinque membri: Alex Txikon, Daniele Nardi, Alì Sadpara e Simone Moro con Tamara Lunger. C’è però un enorme problema: la tenda a campo 2 può ospitare solo 4 alpinisti. Si discute una soluzione, si vagliano strategie, ma Simone Moro dice chiaramente che non vuole scalare con Nardi, “tu sei un bravo alpinista, ma non mi fido di te, non ho buon feeling e quindi decido che non mi unisco a te ed alla tua squadra e che preferisco scalare da solo con Tamara Lunger”. È deciso quindi: una sola via, due squadre separate. Anche Txikon però qualche mattina dopo comunica a Nardi che non lo vuole più in squadra: “mi dice chiaramente che tutto quello accaduto nel mese precedente, gli attriti legati alla caduta di Adam Bielecki sulla montagna, questo fatto della mia caduta, che non si è chiarita fino in fondo, gli hanno creato un tale stato d’animo che non se la sente più di scalare con me”. Daniele, scosso ed allibito, tenta allora la carta di Alì, ma il pakistano “dice chiaramente che l’accordo con gli italiani è stato fatto e non si può rompere, la cosa migliore per me è che io torni a casa e vada via. Scopro che il giorno precedente c’è un comunicato stampa del capo spedizione spagnolo che dichiara che loro quattro avrebbero scalato assieme e io sarei rimasto da solo a scalare. O avrei tentato una scalata in solitaria oppure sarei dovuto tornare a casa”. Daniele abbandona il campo base. Questi i fatti principali del racconto di Nardi. Siamo certi che rappresentano un punto di ripartenza per riscrivere la storia del Nanga Parbat di questo inverno.

2 commenti:

L.W. ha detto...

Passavo di qui per caso...
Che sorpresa il tuo Blog.
Che bello leggere le cose che racconti.

Ciao
D.

Bruja ha detto...

Ho letto su facebook sia l'intervista a Daniele Nardi che quella a Simone Moro. Racconti molto diversi o comunque un'esperienza vissuta in modo completamente differente. Da una parte una persona che alla fine decide di abbandonare anche perchè i suoi compagni non hanno più fiducia in lui e quindi scende al campo base dall'altra Moro che prova una grande soddisfazione per l'opera compiuta esaltando Tamara Lunger.
Mi piacerebbe capire se è normale che accadano queste cose, ovvero se un alpinista può trovarsi di fronte a compagni che lo lasciano solo, ma d'altra parte mi viene da pensare che queste cose succedono nella vita di tutti i giorni anche per noi comuni mortali che non scaliamo, penso che comunque queste situazioni siano veramente pesanti da affrontare.
Poi c'è Lei, Tamara, che invece non abbandona i suoi compagni ed è fondamentale, così racconta Moro, nella fase di discesa.
Quindi ? L'importante è che si faccia chiarezza in tutti i modi.