lunedì 23 maggio 2016

L'OM SALVARECH

Fra i fitti e vetusti alberi del monte Armarolo viveva in tempi ormai lontani un uomo. I suoi amici erano le piante e gli animali del bosco; il suo rifugio una caverna. Il vestito che indossava era strano, confezionato con i lunghi fusti striscianti del licopodio. Egli era sovente al centro dei discorsi degli abitanti del villaggio che nelle lunghe serate invernali si riunivano a parlare del tempo, dell’andamento delle stagioni, dei futuri raccolti, del bestiame.
Le donne poi, filando la lana o la canapa al tenue lume ad olio, si chiedevano “Chi sarà? Come sarà?”-“Giovane e bello” pensavano le ragazze. Ma nessuno era in grado di descriverlo esattamente, perché nessuno l’aveva mai visto. Si sapeva soltanto che esisteva. Quell’uomo, si diceva, aveva la facoltà di rendersi invisibile.
Era tempo di primavera. I raggi del sole riscaldavano l’aria che era dolce e limpida. In un tiepido meriggio, un povero vecchio che abitava solo in un casolare isolato ai limiti del bosco ascoltava il canto degli uccellini e il fruscio delle fronde; il cuore gli si riempiva di tenerezza, mentre in modo lento e paziente puliva il latte con le dita della mano, per togliere i skat (impurità del latte).
Ad un tratto gli uccelli tacquero, il sole sparì dietro una nuvola nera e un rombo cupo risuonò in lontananza. Si scatenò un nubifragio con venti impetuosi, lampi e tuoni. Mentre la pioggia cadeva con violenza tutto intorno, la porta della modesta cucina scricchiolò, si aprì con cautela: sulla soglia, inzuppato e intirizzito, apparve l’uomo vestito di licopodio. Senza dire una parola, quasi con timore, andò a sedersi accanto al fuoco.
Il vecchio lo guardò, ma non chiese chi fosse, né da dove venisse, né dove abitasse, perché questa era la legge della selva.
Rimasero così in silenzio, ciascuno nel proprio angolo, per molto tempo. Infine il temporale cessò, le stelle brillarono nel cielo, la luna tornò a splendere e illuminare la notte ormai giunta. L’uomo, senza dire parola, uscì. Tornò poco dopo con un fascio di erbacce e finalmente facendo udire la sua voce insegnò al vecchio il modo di pulire il latte; non più con le dita, ma con una pianta chiamata Kolin, che era poi quella del suo abito: il licopodio. Volle così dimostrare al vecchio la sua riconoscenza per l’ ospitalità ricevuta.
Da allora, ogni anno a primavera, l’uomo del bosco venne in mezzo alla gente che lo accoglieva con gioia e con grandi festeggiamenti. Tutti erano curiosi di sapere chi era, ma nessuno osò mai chiedergli “chi sei? da dove vieni? dove abiti?” Così, non potendo conoscere la sua vera identità, lo chiamarono l’Om Salvarech (l’uomo selvaggio).
Un giorno la gente attese invano: non lo si vide mai più. Gli uomini, ricordarono la lezione ricevuta e fino ai nostri giorni continuarono a pulire il latte con il kolin: il licopodio. Non lo rividero proprio più ma, la gente del paese, sa che lui c’è ancora e continua ad osservare dai picchi più arditi. E l’Om Salvarech cerca di far cadere con la pioggia dei saggi di vita.

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