Il sopravvissuto: «Non si vedeva più niente, abbiamo battuto sulla roccia»
Il copilota Fulgido Ferrari ha estratto gli altri membri dell’equipaggio: il tecnico era finito con la faccia nella nevedi Ubaldo Cordelli
TRENTO. «Proprio mentre stavamo verricellando c’è stato l’effetto whiteout. Era tutto bianco e non si vedeva niente. Siamo andati a sbattere con il muso contro uno spuntone di roccia e siamo precipitati sul fianco destro. Saremo stati a 15, 20 metri di altezza». Fulgido Ferrari era il copilota dell’Agusta, l'elicottero di Trentino Emergenza precipitato domenica sotto cima Nambino, a quota 2.500 metri, mentre soccorreva una coppia di scialpinisti. Ferrari sedeva accanto al pilota Andrea Giacomoni. In condizioni di visibilità non ottimale sugli elicotteri del 118 sale anche un copilota che aiuta il pilota ad orientarsi, come spiega il comandante del corpo permanente dei vigili del fuoco Ivo Erler. Ferrari, la pelle cotta dal sole di chi è sempre in montagna e una fasciatura al dito a testimonianza del fatto che ha dovuto rompere un finestrino per estrarre il medico di bordo Matteo Zucco, è sempre rimasto saldo e ha contribuito a salvare il resto dell’equipaggio. Tutti, al nucleo elicotteri, gli fanno i complimenti e gli danno delle gran manate sulle spalle. Il comandante del nucleo Elicotteri, Bruno Avi, ha lo sguardo tra il commosso e il sollevato. I piloti sono tutti accorsi, anche quelli non in servizio. C’erano anche l’ex responsabile Claudio Bortolotti, Luisa Zappini e tanti altri. Tutti gli fanno i complimenti, ma con la schiettezza della gente di montagna avverte bonoriamente: «Oh, non chiamatemi eroe, che non è vero. Sono stato solo fortunato».
Il suo è un racconto tutto d’un fiato: «Siamo stati chiamati per un soccorso valanghe. Sapevamo che non c’era una bellissima visibilità e per questo siamo saliti dalla val Rendena, invece normalmente si attraversa il Brenta. Siamo arrivati a Campo Carlomagno, siamo andati sul posto dalla zona Pradalago e siamo saliti. E lì il cielo era aperto. Sopra era sereno. Abbiamo individuato subito i due scialpinisti. Prima abbiamo provato a fare un overing, ci siamo avvicinati al terreno per scaricare il personale. Ma non è stato possibile farlo perché con le pale si sollevava troppa neve e non si vedeva niente. Per questo ci siamo alzati e abbiamo fatto un altro giro sopra e abbiamo deciso di usare il verricello. Sono scesi insieme il tecnico dell’elisoccorso Matteo Marsilletti con il tecnico cinofilo Roberto Barbolini con il cane».
Niente poteva far pensare a quello che stava per accadere: «A questo punto c’è stato il whiteout totale. Non abbiamo più avuto punti di riferimento, ci siamo spostati senza accorgercene e siamo andati a picchiare con il muso su una sporgenza rocciosa che non si vedeva. I due scesi con il verricello erano già a terra e noi spostandoci ce li siamo trascinati dietro per 20 o 30 metri. Abbiamo battuto. L’elicottero si è ribaltato sul fianco destro ed è caduto. Quando siamo precipitati, mi sono guardato in giro e ho visto subito il pilota che era giù in mezzo alla neve, un po’ stordito, mentre io ero su in alto. Ho spento i motori, ho spento il carburante perché il pilota non ci arrivava proprio. Mi sono sganciato, ho aiutato il pilota a rialzarsi, a farlo reagire perché dovevamo essere in due ad aiutare gli altri. Poi, sono saltato dietro. Il medico l’ho visto subito legato con entrambe la braccia fratturate. Ho spaccato il finestrino e l’ho tirato su e l’ho portato all’esterno. Poi sono saltato dentro e ho cercato il tecnico Andrea Gueresi che non si vedeva più. Anche l’infermiera, Cristina Facinelli, lo chiamava ad alta voce e lui non si vedeva. Alla fine ho scavato tra i vetri rotti e ho trovato il sedere di Andrea. Con le mani sono risalito per tutto il corpo per andare fino alla testa e liberarla. Aveva la faccia nella neve, il casco incastrato e l’elicottero sulla schiena. Io Cristina abbiamo liberato la testa di Andrea che era incastrata nel casco che era schiacciato. Abbiamo provato a vedere se aveva traumi, ma bisognava tirarlo fuori perché si vedeva fumo venir fuori dal motore. Perciò bisognava liberarlo immediatamente. Ho fatto un buco sotto l’elicottero, a valle e l’ho tirato fuori da lì. L’ho portato all’esterno. Poi ho preso il medico e l’ho tirato lontano dal motore. Nessuno è stato sbalzato fuori. Solo il tecnico, che era sul portellone per verricellare, è stato buttato all’esterno dell’elicottero e si è ritrovato sotto, con la faccia a terra e l’elicottero sulla schiena. I due che erano scesi con il verricello si erano fermati sulla neve senza problemi e sono venuti ad aiutarci a mettere il medico e Andrea nella posizione giusta. Loro due erano quelli ad avere i problemi maggiori. Poi, il mio compito è stato quello di calmare un po’ tutti, forse perché riesco a tenere il sangue freddo. A colpi prendevo a sberle uno, a colpi un altro e li ho calmati».
Il comandante Erler lo ha ascolta sospeso tra il sollievo e la stanchezza. Sente che è stato un miracolo: «Siamo stati molto fortunati a riportare tutti a casa. In questa situazione avrebbe potuto accadere di tutto». In serata al Nucleo è arrivato anche il pilota Andrea Giacomoni che spende solo poche parole. La sua voce tradisce un grande sollievo: «Sono stato all’ospedale, ma
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