martedì 16 marzo 2010

LA TORRE DEL VENTO

Giovedì sera e' stato presentato il nuovo libro della prima salita al Cerro Torre del 1974 dei Ragni di Lecco. Il libro e' una ristampa aggiornata del vecchio libro Cerro Torre: parete ovest. Lo scorso autunno, quando ero in Patagonia mi e' stato chiesto di scrivere l'introduzione al libro. Andrea Gaddi ha insistito molto affinche' lo facessi e per il Casimiro ho accettato.

INTRODUZIONE
Il vento continua a gridare la sua rabbia, la pioggia batte a scrosci sul tetto e' sulle pareti della casa. Non e' un picchiettare, ma e' come se qualcuno gettasse dall’alto delle enormi secchiate, che poi il forte vento disperde in grosse gocce, facendo quasi un rumore di mitraglia. Dalle finestre alle mie spalle entra una luce bianca, che crea nella stanza dove mi trovo, un’atmosfera quasi irreale.
Sono ancora qui, nella mia Patagonia, per cercare di amare ancora la montagna che tanto amo e che, come sempre, fa la “difficile”, ammantandosi di tempesta. Come sempre devo aspettare. In questo momento mi trovo seduto ad un tavolo, con un computer di fronte ed il cattivo tempo tutto intorno a me. Medito sul grande impegno che ho, forse un po’ impulsivamente, accettato. Parlare della salita dei Ragni di Lecco sul Cerro Torre e, quindi, parlare di quel Casimiro Ferrari che ho incontrato qui tanti anni fa e con il quale, mi rendo conto forse solo ora, condivido molte cose.
I ricordi e le immagini si accavallano. Rivivo momenti che credevo dimenticati e lascio che la mia mente si perda, aiutata dalla luce soffusa e dal rumore del vento, finche'…
“Ma dai Ermanno, lascia perdere. Cosa vuoi dire di me? Che sono un po’ suonato? Che sono un po’ strano? Che sono diverso dagli altri? Lo sai, sono sempre stato un po’ così… da molto prima che ci conoscessimo in questi postacci”.
Mi raddrizzo sulla sedia con un sobbalzo. Mi verrebbe da voltarmi di scatto, per vedere da dove proviene questa voce che conosco bene. In qualche modo, non mi sorprenderebbe vedere la sua figura minuta, ossuta e tagliente, stagliata contro le grandi finestre. Ma riprendo subito il controllo. Il Miro non c’e' piu', lo so bene, non è più qui da tanto tempo ormai. Dev’essere stato semplicemente uno scherzo della mia mente. I ricordi si mescolano alle tante sensazioni speciali di questa Patagonia che entrambi abbiamo tanto amato e dove mi trovo immerso ancora una volta.
O forse no. Forse quella voce l’ho sentita davvero. Quella voce ha attraversato il tempo, lo spazio e le dimensioni dell’esistenza, ed e' tornata a risuonare a “casa del Miro”. Siì, perche' si dice che la casa e' dove si ha il cuore. Sento di nuovo quella voce, mezza in dialetto, che dice: “Sai Ermanno, amo la terra e le montagne dove sono nato, pero' qui…”. Il suo cuore era qui, in Patagonia. Io lo capivo perfettamente, perche' non c’e' bisogno di tante parole per esprimere un sentimento forte.
Ricordo la sua estancia, non lontana da dove mi trovo in questo momento, dove ospitava le persone senza mai curarsi dei soldi e di quello che ne avrebbe ricavato. Casimiro Ferrari era così: un uomo semplice ed essenziale. Non cercava di fare chissà che cosa, cercava semplicemente di fare quello che nella vita gli piaceva. Forse proprio questa essenzialità, questa semplicità estrema, a volte lo mettevano in contrasto con le altre persone. Un uomo duro, crudo, selvaggio: ecco come molti lo ricordano.
A me piace paragonarlo al dottor Powell, impersonato magistralmente da Anthony Hopkins nel film “Instinct”. Un altro uno duro, crudo, selvaggio. Un uomo a suo agio in un mondo diverso, difficile, che amava e dove era accettato. Il dottor Powell viveva in mezzo ai grandi gorilla di montagna, il Miro viveva in mezzo alle sue montagne. Entrambe, al di fuori del loro mondo, parlavano poco, apparivano scontrosi e potevano perfino ferire.
E come si fa a non pensare a quell’uomo senza pensare alle grandi pareti? Ma non voglio fare un freddo elenco. Forse e' meglio che parli solo del suo grande Amore: il Cerro Torre e la sua parete ovest.
Certo che bisogna avere proprio una grande passione per quella montagna per passare ciò che lui ed i suoi compagni hanno vissuto su quella parete e tutto quello che e' stato anche il suo, per modo di dire, “arrivarcisi sotto”. L’epico tentativo del grande Bonatti, col Mauri e grazie all’aiuto di Folco Doro Altan. Poi i successivi tentativi fino al grande successo del ’74. Era un trascinatore il Miro, a volte controverso, ma sempre deciso. E quella sua determinazione aiutava anche gli altri a stringere i denti. Fu una grande salita.
Tutti quei Ragni che l’hanno alternato al comando, hanno fatto si che quel sogno, la ovest del Torre, divenisse realtà.
Ogni salita bisogna guardarla ai suoi tempi e non possiamo paragonare quello che oggigiorno possiamo fare sulla stessa parete a quella effettuata, invece, 35 anni fa.
L’unico paragone che possiamo permetterci e' che le fatiche di oggi non sono niente in confronto a quei tempi. Sicuramente se gia' allora ci fosse stata l’attuale tecnica ed attrezzatura, anche per i Ragni sarebbe stata una salita a cui dare meno importanza. Ma, a quel tempo, quanto hanno dovuto stringere i denti? Forse non ce ne possiamo rendere nemmeno conto. Adesso il Torre lo si guarda come una bella montagna ma allora incuteva molta più paura che fascino.
Si diceva che Casimiro Ferrari fosse di carattere chiuso, ma certamente, per chi era disposto ad ascoltarlo, sapeva trasmettere, esprimere e comunicare un sacco di cose. Tutti noi, guardandoci dentro, abbiamo i nostri problemi. A volte sono proprio questi problemi che ci portano a ferire gli altri.
Ma il suo non era un problema. Forse, a volte, per gli altri si. Ma lui non aveva certo l’intenzione di fare male a nessuno. Lui amava il suo mondo e lo difendeva strenuamente – nessuno avrebbe potuto portarglielo via! Non e' sempre facile da capire: se non ami i gorilla, non puoi capire chi li ama. Non puoi capire l’amore per una donna se non ne hai amata alcuna. Non puoi capire l’amore per le montagne se non le hai mai amate. Non puoi capire l’amore per la Patagonia se non l’hai mai amata. E se non puoi capire, soprattutto non bisognerebbe giudicare.
Casimiro, quello vero, era colui che si apriva ai pochi che sapevano comprendere ed accettare la sua passione. Aveva tantissimo da dare e tanto da insegnare. Basterebbe per esempio il modo con cui ha affrontato per tanti anni la malattia che, infine, lo avrebbe portato via.
Mentre il vento continua ad urlare, lo sento, sento proprio la sua presenza, qui, dietro le mie spalle.
Minuto, ossuto, “cabeza dura” (come si dice da queste parti): lui era come una montagna, forse proprio una montagna. Forse come il Cerro Torre: tutto a spigoli, ma arrotondati. A pensarci bene, era forse ancor più ruvido, più tagliente, ma era anche uno che se lo conosci si lascia salire… proprio come il Cerro Torre.
Patagonia - Novembre 2009

1 commento:

Anonimo ha detto...

Molto bella, complimenti.
Dopo "Enigma Cerro Torre" di Spreafico e "Grido di pietra" di Messner, non voglio perdermi l'ennesimo tributo a questa montagna, che ritengo la più bella del mondo, per lo meno tra quelle che conosco.
A quando un libro tutto suo? Spero presto.
Carlo da Vittorio Veneto