venerdì 28 agosto 2009

VIA OPPIO

CAMPANILE BASSO
ANDREA

TIRO ERBOSO

E L'ERBA CONTINUA

ANCORA ERBA

TIRO CHIAVE

ALLA FINE DEL CHIAVE

OCCHIO...

OLTRE META' VIA

PRIMO TIRO

CENGIA D'ATTACCO
Oggi , dopo la mazzata di ieri, sono a casa. Col mio amico Sarchi siamo tornati al Croz dell'altissimo. Dico tornati, perche' tempo fa eravamo gia' stati ed avevamo rinunciato causa l'orario. Siamo saliti sulla storica via di Nino Oppio, aperta nel 1939. Non ho nessun racconto della prima salita e non riesco neanche minimamente ad immaginare la loro avventura su quella grande parete. So solamente che Oppio, per superare il tiro centrale di 35 metri ha impiegato piu' di un giorno. Che testa che aveva con quel poco materiale a disposizione! Una storia durata 4 giorni. Poi c'e' il racconto di Oggioni dal suo libro LE MANI SULLA ROCCIA che lascia senza parole. Incollo il suo racconto e alla fine diro' qualcosa della nostra salita anche se, pensando a loro, avrei ben poco da raccontare.

Il mio primo obiettivo, e' la parete sud del Croz dell’Altissimo. Ne avevo sentito parlare con molto rispetto: si trova nelle Dolomiti di Brenta, e piomba vertiginosa per 1100 metri, sulla testata della Valle delle Seghe. Questa parete aveva respinto per decenni tutti i tentativi dei migliori alpinisti trentini: finchè la cordata composta da Oppio, Colnaghi e Guidi, tutti rocciatori lombardi, riuscì a superarla in quattro giorni.
La massima difficolta' consisteva in una placca di trentacinque metri, posta a trecentocinquanta metri dalla base e che richiese a Oppio e compagni, una giornata e mezza di durissimi sforzi.
E questa e' l’impresa che volevo tentare. L’idea si era così fortemente radicata in me da diventare quasi un’ossessione. Ma le 84 ore passate in parete dai primi salitori rappresentavano per me qualcosa di piu' delle brevi arrampicate in Grignetta; questo mi turbava parecchio: ce l’avrei fatta?
In compagnia di Josve Aiazzi e Walter Bonatti, lasciai Monza un pomeriggio, per raggiungere Madonna di Campiglio.
Raggiungiamo il rifugio Brentei sotto una gelida pioggerella. Quella notte ci tocco' dormire nel solaio: il rifugio era zeppo.
Il giorno seguente ci portiamo al Pedrotti: qui una visione stupenda ci affascina e ci sgomenta; la grande parete sud del Croz dell’Altissimo e' lì di fronte in piena luce con tutta la sua imponenza. Ammirandola mi smarrisco; e' la prima vera grande parete della mia vita.
Una guida locale, conosciuto il nostro programma, ci da consigli e ci augura buona fortuna. La ringraziamo, e proseguiamo per la nostra strada: a tarda sera siamo al rifugio Selvata. Stanchi per il lungo cammino ci ritiriamo nelle nostre cuccette.
Alle due del mattino successivo sveglia e partenza: ci accompagna l’amico Giulio Vigano, che avendo assistito alla prima ascensione ci fornisce utili indicazioni: alle 5 e 30 siamo all’attacco.
Salutiamo il nostro accompagnatore, e iniziamo la scalata per una cengia erbosa che porta al centro della parete. Attacco prima un camino alto 5 o 6 metri che richiede subito l’uso dei chiodi, e, mentre sono impegnato, piomba a calle una valanga di sassi: appiattiti contro la roccia, attendiamo che la scarica sia passata. La montagna ci ha inviato il suo saluto mattutino. Non lo abbiamo molto gradito. Arrampichiamo per tutto il giorno su una serie di fessure e camini, di roccia tonda e difficile, sino a che giungiamo alla base della famosa placca; qui in posizione scomoda ma sicura prepariamo il nostro primo bivacco. Passiamo la notte seduti. Siamo stanchi non per l’arrampicata, quanto per la lunga marcia di avvicinamento: abbiamo raggiunto Madonna di Campiglio in camion, abbiamo attraversato il gruppo del Brenta con madornali sacchi sulle spalle per raggiungere la parete; e, inoltre, questo e' il mio primo bivacco in parete. Forse sarà l’emozione o qualche cosa d’altro, certo che non riesco a prendere sonno: percio' mi metto a riflettere un poco sulla nostra situazione. Fin’ora tutto e' andato nel piu' liscio dei modi ma c’e' un’inconveniente, i sacchi… Sono troppo pesante per una salita del genere. Tirarli su con la corda costa uno spreco inutile di energie; portarli sulle spalle come si fa? Comincio a capire che il materiale ed i viveri per questa nostra prima esperienza su una lunga e difficile ascensione, sono troppi. Infatti abbiamo con noi la bellezza di 180 metri di grossa corda di canapa, 60 moschettoni, 60 chiodi, e i viveri. Nientemeno che 8 litri di the', tre chili di zucchero, tre chili di prugne secche, carne, pomidori, cioccolato, ed altro compreso gli indumenti che sono residui militari della guerra 1940/45. Tutto questo lo dobbiamo portare sulle spalle anche in arrampicata.
Nel silenzio della notte ogni tanto alzo lo sguardo per scrutare nelle tenebre la placca che ci sovrasta, fredda e repulsiva chiusa in alto da un piccolo soffitto.
All’alba partiamo: attacco la placca deciso a passare a tutti i costi; la roccia e'molto compatta, salgo lentamente piantando dei chiodi poco sicuri entro piccoli buchi. Solo dopo un delicatissimo passaggio riesco a piantare un chiodo veramente buono sul quale mi alzo trovandone un altro lasciato dai primi salitori: ora mi è possibile far salire Bonatti presso di me. Quando Walter e' sicuro sui chiodi di fermata riprendo la salita sull’altra meta' della placca. La roccia e'diventata ancora più compatta, gli appigli sono rarissimi. Noto una fessura superficiale; vi appoggio un chiodo che però al primo colpo di martello schizza via; un secondo segue la stessa sorte; il terzo va meglio pur entrando solo pochissimo; questo per me e' sufficiente, poiche' le forze stanno esaurendosi è quindi con un sospiro di sollievo che aggancio il cordino di sicurezza. Poco piu' in alto mi trovo alle prese con il soffitto, lo devo aggirare vedo sinistra chiodandolo dal di sotto: guardando verso il basso vedo una serie di chiodini a 30 centimetri di distanza l’uno dall’altro, credo che si sarebbero sfilati tutti come turaccioli al primo piccolo strappo.
Comincio ad essere stanco di questa placca… da 6 ore sono alle prese coi suoi trenta metri e non ha nessuna intenzione di cedere. Alla fine un chiodo un po’ piu'sicuro mi permette un monmento di riposo. Dopo aver superato ancora una liscia paretina, raggiungo finalmente un piccolo ballatoio.
Ora sono finalmente a posto; i miei compagni mi raggiungono molto velocemente, e così dopo sette ore di estenuante fatica ci troviamo riuniti sopra il delicatissimo passaggio.
Siamo tormentati dalla sete, ma non per questo meno decisi a proseguire la nostra salita: continuiamo per altri 100 metri relativamente facili, quando, tutto ad un tratto, si scatena un temporale con tuoni e grandine ed acqua in quantita'. Se non altro possiamo almeno dissetarci un poco senza dar fondo alla nostra riserva di the'. Col ritorno del bel tempo riprendiamo l’arrampicata, saliamo veloci, man mano che ci innalziamo le difficoltà riprendono. Infiliamo lunghi colatoi che superiamo in pressione; usiamo questa tecnica data la caratteristica conformazione della roccia; essa è formata a bugne tonde, percio' le mani fanno poca presa. A 250 metri dalla vetta installiamo il nostro secondo bivacco. In confronto al primo e' veramente comodo; la sete pero' ci tormenta e a tratti veniamo presi da brividi di freddo: perche' il tempo sia piu' veloce nel passare, cantiamo. All’alba siamo di nuovo pronti; siamo sempre piu' assetati ma decisi a farla finita. Saliamo disperatamente, quasi di corsa, verso rocce finalmente piu' facili: ma la cima e' ancora lontana; il bosco sottostante è diventato molto piccolo; il vuoto sotto di noi e' impressionante: oltre 1000 metri. Finalmente dopo qualche altro tratto di corda, la vetta e' raggiunta. Un commosso abbraccio suggella la nostra vittoria. Riordiniamo velocemente i nostri attrezzi e poi precipitiamo per la lunga ma facile discesa, alla ricerca di acqua, troviamo finalmente una pozzanghera calda, verdognola, con muffa, ma tanta è la sete che beviamo fino a saziarci. Proseguiamo la discesa su Molveno, e a sera sprofondiamo in soffici letti sognando naturalmente la nostra prima riuscita in una ascensione “importante”.

L'altra sera abbiamo dormito nei sacchi a pelo al Pradel. Verso le 6.30 attacchiamo la via. Molta erba, molto friabile, molti spaventi. Andrea fa un tiro dove poi mi dice di non aver mai preso uno spavento così. Solo poco prima di mezzanotte sono di ritorno a casa. Forse riprendero' questo argomento.


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